sabato 29 agosto 2015

domenica 31 maggio 2015

Did you see the flares in the sky?

The 'Verse, Skyplex Hall Point, 2517

Quella vita l'ha vissuta tanti e tanti momenti.
Ha fissato il tabellone delle partenze da Hall Point, dirette in tutto il 'Verse, centinaia di volte almeno, e almeno metà di quelle centinaia era durante un turno di lavoro.
Quella vita, quella della viaggiatrice per procura, l'ha vissuta negli sguardi della gente frettolosa, negli inseguimenti tra la folla brulicante, negli abbracci e negli addii dei viaggiatori.
Non è questo il caso - non è questo il momento.
Al momento, anche lei ha una valigia in mano - una sacca sulla spalla - e un biglietto in tasca - sola andata, 'che il ritorno è un mistero.
Il 'Verse intero è un mistero, e i mostri nascosti sotto il letto, negli incubi dei bambini - ai confini delle Galassie conosciute - non sono più tanto lontani.


Roanoke, Paris County, 2517

Sono loro ad essere lontani da tutto, sull'ultimo Cielo.
Le sue mani sono viola, secondo Sid - quando gliele tuffa nei capelli, schiantando la bocca contro la sua.
Sono rosse di tutto il sangue che s'è lasciata dietro, rosse della polvere delle strade di Maracay, rosso sbiadito della tinta rosa caramella con cui s'è impiastricciata i capelli.
Le sue mani sono nere di ogni colpa che non è riuscita a lavar via, sono blu come il mare di Whitmon - spelate dalle reti annodate e graffiate dalla salsedine.
Sono verdi dell'erba strappata, dei papaveri lungo il vialetto dei Deveraux, della tintura con cui Madame faceva lavorare lei, Amandine e le altre schiave - tira annoda strizza la stoffa.
Sono bianche della neve di St. Andrew, della farina con cui impastava il pane, della schiuma con cui imbatuffolava le guance di Ebwar per fargli la barba.
Solo un movimento distratto, su quella gola, e sarebbero tornate nuovamente rosse.
Lo stesso rosso che ha immaginato tingere il Latte di Luna, dopo aver ucciso il suo bambino.


The 'Verse, Skyplex Hall Point, 2517

La bambina di Daphne le tira le ciocche arruffate, mentre percorre i corridoi della Stazione.
Ha lasciato la Shouye - è tornata da lei, da Sharon - e questo vuol dire che davvero la fine del 'Verse è vicina.
Forse - si dice, mentre scarrozza in braccio la pupattola verso il Roadhouse - moriranno tutti, o quasi; i sopravvissuti saliranno su altre Arche - come tanti e tanti anni fa - e troveranno nuovi Mondi, nuovi Pianeti, nuovi Cieli vergini da colonizzare.
Gli esseri umani non sono fatti per durare a lungo.
E i confini dell'universo conosciuto, in quel momento, sono solo linee di una mappa stellare tracciata dai piloti che sono stati abbastanza coraggiosi da spingersi nell'ignoto.
Piloti come Edison - uccelli tropicali cuciti sulla camicia stazzonata -, a cui pensa di sfuggita carezzandosi l'interno del gomito.
Spingersi in vena un obbligo, annegati nei neon di Dog Town.


Richleaf, Maracay - Tartagal, 2508

Tulio è collassato sul pavimento lurido della stanza che hanno preso in affitto.
Ha ancora l'ago infilato nel braccio e la siringa tra le dita, ma a giudicare dal respiro pesante - un rantolo, come se un Loa gli si fosse appollaiato tra i polmoni e li strizzasse - ha perso i sensi all'ultima dose, trascinato sul fondo buio e pastoso di Switch.
Jordan lo osserva sdraiata sul divanetto sfondato, il battito che rallenta piano piano; si massaggia in una smorfia dolorante lo zigomo sinistro - diventato viola per la rabbia di colui per cui non ha guadagnato abbastanza pesos.
Più nessuno se la vuole scopare, al Sangre Amaro, dopo che ha piantato un coltello nella schiena dell'ennesimo cliente che non la voleva pagare.
L'amore è una strana cosa, si ritrova a pensare.
L'amore è ciò che la spinge a restare con Hidalgo, ad amarlo e assecondarlo, a bucarsi per sognare con lui un futuro migliore. E' ciò che la spinge ad alzarsi e barcollare fuori, nella sera appena iniziata della brulicante capitale, per cercare qualcosa da mangiare per lei e per l'uomo della sua vita.
Bisbigliano i vicoli, mentre la movida la inghiotte.


Clackline, Magione dei Deveraux, 2509

I sussurri sono troppo alti - fastidiosi, sibilanti -, non può fare a meno di sentirli.
La febbre le sta masticando i nervi, strappandole brandelli di coscienza e infuocandole la schiena massacrata dalla sferza; è quella, probabilmente, ad alterarle tutti i sensi.
Il legno sul tavolaccio su cui è sdraiata prona profuma di fiori - resina e polline -, e l'aria del capanno in cui il dottore ha finito di bendarle la schiena - timo e cotone fradicio - vibra sotto le parole bisbigliate dagli occupanti della stanza.
La credono svenuta, forse.

- .. ncepibile che l'abbiano quasi ammazzata.
- Lo sai come funziona.
- No, Jesus, non lo so.
- Barrow, datti una calmata.
- Finché i termas tratteranno così gli schiavi indisciplinati, non posso calmarmi.

L'accento di Samuel Barrow la culla - una barca sulle paludi fuori Baton Rouge - nell'oblio dell'antidolorifico, fino a perdere nuovamente i sensi.
Sogna di intrecciare margherite tra i capelli di Amandine, che per qualche motivo ha le ciocche bionde di sua madre. E lo stesso cipiglio assente, smarrito, che le ha visto tante e tante volte.
Quello che ha immaginato avrebbe avuto il mattino dopo la sua fuga.


New London, New London, 2517

E' fuggita dallo Skyplex - chiedendo il permesso, come si conviene.
Forse sono le luci dei lampioni a led - bianche come quelle di una sala operatoria, dove tante e tante volte le mani di Eddie l'hanno ricucita - ad illuminare la strada, o forse è il divampare delle esplosioni nel cielo buio, che si tinge di rosso e arancio e giallo e carminio.
Il tramonto di Dorado su Whitmon, rosseggia l'orizzonte come affocato a mare.
O ancora, forse è solo l'istinto - ciò che l'ha sempre guidata - a guidare i suoi passi verso quel grattacielo che buca il cielo di New London, uno dei tanti nella skyline.
Il portiere ha lasciato il suo lavoro per trovarsi un rifugio migliore, 'ché non vuole vedere in faccia un Marauder, 'ché secondo lui saranno i più ricchi del 'Verse a farne per primi le spese. Nessuno ha pensato di dirgli che, probabilmente, li uccideranno prima le radiazioni piuttosto che i barbari delle stelle.
L'ascensore è troppo lento, il corridoio troppo lungo, ma la porta la raggiunge pochi istanti più tardi.

 - Se è l'ennesimo predicatore contro il nucleare o la fine del 'Verse, ne ho già sentiti quattro oggi, quindi può alzare i tacchi.

Sorride, una dolcezza così sottile che le si spezza tra le costole.

- Sono io, Virginie.

Il silenzio attonito dietro la porta e l'armeggiare frenetico con la serratura, per disserrare la porta a scorrimento, le lasciano intendere che quella visita - stavolta - proprio non se l'aspettava.
Rivederla è respirare ossigeno dopo mesi di apnea - è sempre stato così.
Sorride di nuovo, e per una volta Jordan Fox è davvero felice.
Non le lascia neanche aprire bocca per domandare cosa ci faccia lì - perché ha attraversato mezza galassia in subbuglio per bussare alla sua porta.

- Ho deciso che la fine del 'Verse, se davvero deve arrivare, la voglio vedere con te.



You didn't ask for this
Nobody ever would
Caught in the middle of this dysfunction
It's your sad reality
It's your messed up family tree
And all your left with all these questions

Are you gonna be like your father was and his father was?
Do you have to carry what they've handed down?

No, this is not your legacy
This is not your destiny
Yesterday does not define you
No, this is not your legacy
This is not your meant to be
I can break the chains that bind you

I have a dream for you
It's better than where you've been
It's bigger than your imagination
You're gonna find real love
And you're gonna hold your kids
You'll change the course of generations

Cause you're my child
You're my chosen
You are loved
You are loved

And I will restore
All that was broken
You are loved
You are loved

And just like the seasons change
Winter into spring
You're brining new life to your family tree now

mercoledì 15 aprile 2015

It's lust at first sight.

Richleaf, Maracay - Tartagal, 2507


Erano stati passi distratti a portarla lì, senza che davvero sapesse dove la stessero conducendo. Si era tinta i capelli biondi nel bagno dello spazioporto di Sieg, prima di partire, e l'unico colore che costava sufficientemente poco da poterselo permettere con i pochi spiccioli che aveva in tasca era il rosa. Il fugace lampo dello sguardo di disapprovazione della madre le sfarfallò in mente, svelto come il ragazzino che le era sfilato al fianco sfilandole ciò che rimaneva dei soldi.
Jordan Fox, nel guardarsi attorno terrorizzata ma affascinata, mostrava tutta l'ingenuità di chi è cresciuto su un'isola e non crede sia possibile trovare così tante persone ammassate in un luogo.
Maracay sembrava un gigantesco formicaio, brulicante di vita e passanti frettolosi - ben lontani dall'operosità dell'insetto cui si ispirava. Tartagal, uno spicchio di quell'arancia sanguigna, era un calderone di odori e voci, un budello di viottole sterrate, un labirinto in cui era fin troppo facile smarrire se stessi.
E al momento, con i suoi capelli color caramella e la sacca sulla spalla, dopo aver passato fin troppo tempo sdraiata sul pavimento della stazione degli autobus, lei era tutt'altro consapevole di cosa ci facesse in quel posto.
Mento alzato ad osservare, sconfitta ed esausta, l'insegna traballante di una bettola come tante, illuminata fiocamente dalla luce aranciata proveniente dall'interno del locale.
Entrarci e farsi largo a gomitate verso il bancone, incespicando in decine di sconosciuti ubriachi, fu solo questione di scelte - e di sete.

- Que tomo?

La lingua la colse alla sprovvista, liscia come seta ma sporca della stessa polvere rossastra che le aveva imbrattato le scarpe, fin lì. Non riuscì a rispondere nulla di concreto e rimase lì, per qualche secondo buono, a boccheggiare come un pesce rosso senz'acqua, le nocche strette al bordo del bancone - aggrappata all'unica cosa che non pare girarle sotto i piedi.
Il tonfo di qualcuno che si schianta contro il legno lercio del bancone, al suo fianco sinistro, la fece sobbalzare come un animaletto selvatico, spaventata.
Era un ragazzo poco di grande di lei, dagli arruffati capelli biondi e dal sorriso furioso - crudo, come la risata estasiata che gli sgorgò dalle labbra poco dopo, mentre si massaggiava una guancia su cui spiccava il segno rosso delle cinque dita.
Jordan, seguendo la direzione del suo riso, trascinò uno sguardo titubante a seguire la schiena di una bruna piuttosto procace sparire, inghiottita nella folla che si dimenava al ritmo di una musica indiavolata.
Fu il formicolio di un paio di occhi fissi su di lei a farle torcere nuovamente il collo per incontrare lo sguardo del ragazzo spintonato contro il bancone; una morsa le serrò lo stomaco, inchiodata da un paio di occhi blu, lucidi di curiosità e di qualcos'altro, probabilmente - alcol, switch, all'epoca non sapeva ancora nulla di come girava il 'Verse.

- Ehi chica.

Di nuovo quella lingua. La sua ordinazione era un ricordo ormai lontano, accantonato in un angolo remoto del cervello, soppiantato bruscamente dal bisogno di ossigeno.
Non si era neanche accorta di aver smesso di respirare.

- Non parli maraqueño, anh?

L'inglese di quel giovanotto era stentato, gonfio di consonanti, deliziosamente strafottente come quel sorriso che sembrava inciso direttamente contro la sua bocca.
Jordan scosse il capo un paio di volte, scrollando le lunghe ciocche rosa e facendolo ridacchiare nuovamente.

- Vale, cos'è che vuoi?

Chiederle l'età non sembrava neanche nei suoi programmi e una parte di lei si complimentò silenziosamente con se stessa, per l'ottimo lavoro fatto in quel travestimento. Foxie era rimasta sulla spiaggia di Thyatira ad aspettare il traghetto per Sieg, c'era solo Jordan in quel momento.
In quel posto, in quell'istante.

- Scegli tu.

Non voleva essere civettuola, ma a giudicare dall'occhiata che il ragazzo le spinse addosso, da capo a piedi fino ad arrampicarsi nuovamente verso l'alto, qualcosa nel suo accento musicale gli aveva suggerito tutt'altro.

- Tequila.

Ordinò lui, senza neanche guardare il barista ma alzando una mano con la spavalderia di chi, in quel posto, ci ha passato anche fin troppo tempo. Anche Jordan non riusciva a staccargli gli occhi di dosso, quasi fosse magnetico. Era bello in un modo che faceva quasi male, e il paio di nei sul collo, i segni rossi vicini allo scollo stazzonato della maglia bianca - oscenamente consunta - le facevano venire in mente pensieri molto meno innocenti di quelle uscite in barca con Thomas.

- Com'è che ti chiami?

Nuovamente, raschiò un respiro dal fondo della gola, concedendo ai polmoni la tregua di riprendere a respirare normalmente - fumo dolciastro polvere e sudore.

- Jordan.

Lui sogghignò, un guizzo in fondo agli occhi blu - un'onda in quel mare liquido, in cui la pupilla era una barca smarrita in tempesta.

- Io sono Tulio. E se non sei ubriaca .. - le tese lo shot di tequila appena arrivato, raso fino all'orlo - .. sei nel posto sbagliato.

E fu in quel momento, quando il primo shot di tequila le ustionò la gola e la coscienza, che Jordan Fox sentì di essere esattamente dove doveva essere.


martedì 7 aprile 2015

Slow dancing in a burning room.

Roanoke, Carcere di Takoma Springs, 2517


Il rancio sa di segatura e carta vetrata.
Ha lo stesso sapore del mastice che usava il vecchio di Whitmon, della casetta sul molo - aggrappata con tenacia alle assi da anni di salsedine e chiodi - per riparare le crepe della sua barca, della nafta che consumava Raphael per la sua imbarcazione, lo stesso dei baci di Tulio che impastavano la bocca quando la switch era troppa e le masticava il cervello, sciogliendo le articolazioni come burro.
Ogni boccone è un groppo in gola, un mattone di saliva, la stessa angoscia che le rivolta lo stomaco - o forse è solo il fegato, aperto dai perforanti di Russell. Ha i brividi, ma arde di febbre.
Nella jungla di Goldera, l'umidità si attacca alle ossa, si intrufola nei polmoni ad ogni respiro come una cappa di velluto bagnato. Il sudore si aggrappa alla carne come i sospiri di un amante - il sapore di Sid le gratta la lingua ad ogni morso, la sua espressione incredula quando ha abbattuto quella bestia. Ha sparato al cane con la stessa, cieca determinazione di colui che - ormai troppi anni fa - ha sfondato le budella a Tulio con un colpo di shotgun ben preciso, per cercargli dentro le viscere i soldi che gli doveva. Come quel cacciatore di St. Andrew, che ha centrato l'alce direttamente in mezzo agli occhi, dipingendo il candore della neve perenne con schizzi di rosso - porpora carminio scarlatto amaranto vinaccia. Come i capelli di Sharon, una pennellata di corallo sulla tela dei suoi ricordi, sul muro della cella - un mattone sbeccato, ruggine e argilla per inchiostro.
Ha disegnato una galassia di ricordi - di sogni di paure di persone - su quelle pareti, sporcandosi le dita e vomitando bile nel secchio di latta che l'è stato concesso. E' solo il fegato, si ripete; è solo il fegato, non l'essere lasciata sola con se stessa, in silenzio, con tutto ciò che ha fatto.
Jordan pensa e ripensa - attorciglia riflessioni come nastri colorati sotto la brezza.
Sogna i suoi vecchi padroni, uno per uno, amore dopo amore. Sogna un soffitto fatto d'acqua che non smette di gocciolarle addosso, un pavimento che non la pianta di rollare come la barca gialla dal bordo scheggiato e l'odore di pesce. Thomas - finalmente - ha smesso di nascondersi dietro un sorriso accennato, dietro il silenzio, dietro le malelingue degli amici a cui si accompagna. Le ha respirato addosso un'infatuazione adolescenziale - frettolosa impacciata ma dolcissima - sulla pelle, tra i capelli, sotto la gonna. Le ha respirato addosso tutta la lussuria che ha tenuto nascosta dietro le frecciatine di Elija, da quando ha capito che gli occhi rabbiosi di Foxie sapevano anche essere gentili. A volte.
Jordan non lo fa più, non chiede più permesso alla società - a se stessa - se vuole qualcosa; se lo vuole, quel qualcosa o quel qualcuno se lo prende, senza badare alle macerie che si lascia dietro, la sfrontata sfacciataggine di chi è cresciuto come un'erbaccia, contorta e mal voluta, e si è ritagliata il suo posto nel 'Verse in un angolo che le era precluso già di nascita.
Ha finito il verde - per Goldera, per tutti gli occhi in cui si è specchiata - quando ha consumato tutto il sasso bianco - non ha altri colori - che le ha lanciato la sua vicina di cella, una ranchera che hanno arrestato perché l'hanno trovata strafatta di blast, con le tasche gonfie delle bustine che lei stessa - non ricorda neanche quando - le ha venduto. Ha riconosciuto i suoi capelli biondi, forse, o magari il pessimo carattere con cui le ha ringhiato attraverso le sbarre di smettere di fissarla o le avrebbe spaccato il naso.
L'è rimasto solo il rosso - quello che lei utilizza come tale.
Sogna, disegna quella stessa cella in fiamme, e lei che ci balla esattamente in mezzo, stentati passi di danza, incespica nei suoi stessi scarabocchi.
Ha passato tutta la sua vita, fino a quel momento, a ballare - entusiasta e sconsiderata come una bambina - in una stanza che va a fuoco, senza preoccuparsi di uscirne, senza preoccuparsi di cosa sarebbe rimasto attorno a lei una volta che l'incendio avrebbe divorato tutto quanto. Compresa lei.
Ma la porta, per quanto la riguarda, è già crollata nel fuoco alla prima scintilla.
Sarebbe arsa, infine, e sarebbe stato sufficiente.





You try to hit me just to hurt me
So you leave me feeling dirty
Because you can't understand.

domenica 22 marzo 2015

Into - and out of - the woods.

St. Andrew, Black Fen, 2512


Ha lasciato un sentiero di passi inequivocabile, da Black Fen a tuffarsi nella foresta che circonda la palude ghiacciata. Lei, di quelle tradizioni - di quella lingua di quella gente -, non sa assolutamente nulla. La Santissima Muerte è familiare, nera e inquietante. Di quegli dei, gli dei del suo padrone, non vuole neanche conoscere il nome - mormorati urlati invocati come mantra durante sacrifici, preghiere, invocazioni.
Ha bisogno di aiuto, tuttavia, 'ché le donne del villaggio dove vive con Ebwar non la possono aiutare. Non si insultano gli dei rifiutando il dono di un padrone, anche se l'ordine arriva direttamente da lui - 'sì dicono loro, in quell'accento stretto. Jordan Fox ha smesso di credere in qualcosa quando una vecchia di Tartagal le ha letto la mano e ci ha letto rovina - se per lei o per gli altri, non l'ha ancora capito.
E' la Morte a governare questo mondo, e nessun altro.
Ogni nove anni, da tutto St. Andrew, i villaggi valicano le Steep Mountains attraverso l'Eagle Walk, s'inerpicano in strette gole e tumultuosi fiumi per raggiungere quella terra sacra e celebrare il loro credo. E' inevitabile, dunque, trovare in quel brulicante calderone di umanità qualcuno che possa fare al caso suo.
Jordan è sparita da qualche ora, il suo padrone è troppo impegnato a contrattare - schiave terreni alleanze - per badare a lei. Ha smarrito la strada, in quell'intricato labirinto di tronchi bruni che circondano le paludi come una corona, da almeno la metà del tempo. Gratta con un'unghia, distratta, il muschio secco e gelato dal tronco di un albero che dorme sotto le coperte soffici dell'inverno.
Attorno a lei, la foresta è solo rumori rassicuranti e ovattati di rami appesantiti che si scrollano di dosso cumuli di neve e di uccelli che lasciano ricami ordinati di orme sulla neve - quasi fossero i merletti che cuciva Amandine -, sentieri di zampette che si interrompono nel nulla quando le ali si spiegano finalmente nel volo. Uccelli neri che fanno capolino tra alberi bruni, e intorno a lei il bianco accecante che neanche la stella Polaris riesce a riscaldare.
Un corvo gracchia lontano - un soffice frullio di piume d'inchiostro - e improvvisamente si accorge di non essere più sola.
Non ha bisogno di voltarsi e guardare, per capire che il rumore che ha sentito non appartiene a una persona sola; quando ruota su se stessa, ha già il coltello in mano e si allontana velocemente dal tronco per non chiudersi la ritirata alle spalle.
Tre donne vestite di pelli spuntano da dietro la barriera dei tronchi e di alcuni cespugli spogli e irti di spine, apostrofandola in quella lingua che ancora le risulta straniera - ovunque vada, è condannata a non capire ciò che le dicono. Solo Padron Ebwar - e pochi altri - le parla in inglese - le ordina le comanda le impone.
Tiene stretto il coltello da caccia e spinge contro al terzetto di anziane lo sguardo della volpe in trappola, fiera e disperata.
Nessuno parla.
La neve - cristalli sfaccettati dalle mille forme, minuscoli agglomerati di gelo e di luce - le si impiglia soffice tra le ciglia, nella chioma arruffata, nel pelo stropicciato del cappuccio dimenticato sulla schiena.
Serra le nocche - rosse per il freddo - sull'impugnatura per darsi la forza di grattare una richiesta dal fondo della gola, cinta dal collare elettrico.

- Siete voi che potete darmi il Latte di Luna.

La domanda è tremula, graffiata - chi non usa più la voce se non per obbedire - ma non ha sfumatura interrogativa. Ha la fermezza di chi non ha altri a cui rivolgersi, e che non accetterebbe un no come risposta - si sarebbe spezzata anche lei insieme ai rami sottili, sotto il peso della coltre di neve perenne.
Le tre donne si guardano - occhi cerchiati di terra bruna - e Jordan spera con tutta se stessa che abbiano capito la sua richiesta. Si porta una mano al ventre piatto, sopra le pelli cucite, quasi d'istinto - « Liberatene, non mi importa come. »
E' forse quello - quel gesto dettato da chissà quale rimorso o speranza - ad attirare l'attenzione di una delle tre sainter. Ha gli occhi neri come le piume di corvo che nasconde tra i capelli bianchi, e la consapevolezza che colei che si trova di fronte è una schiava, non una donna libera - non ha diritto di scelta.
Parlotta con le altre due anziane per un tempo che le sembra infinito, una stretta d'angoscia allo stomaco e al cuore, così dolorosa che deve sforzarsi per ricacciare un singhiozzo in fondo alla gola - da dove non sarebbe mai dovuto uscire.

- Aye.

Mai avrebbe pensato che un le avesse potuto sollevare tanto il cuore e, nello stesso tempo, affossarlo giù nelle viscere di una indecisione che bussa alle porte solo adesso, quando la parte ancora libera di Jordan si dibatte.
Dentro di lei, c'è qualcuno che potrebbe essere un bastardo o un uomo libero.
E lei sta per sbarazzarsene senza appello.

- Not here.

Sfarfalla le ciglia - non è una lacrima, è il gelo che le brucia i sensi - e torna bruscamente ad osservare le tre donne.
Adesso è l'altra vecchia a parlare, con un cappuccio in testa e i capelli grigi, intrecciati di perline di legno - calca sulle consonanti in un inglese stentato. Brucia la distanza che la separa da Jordan in qualche passo leggero sulla neve, per raggiungerla e afferrarla per il gomito del braccio che regge il coltello.
La esorta a seguirle, mentre già le altre due sono sparite - non ha visto quando - nel folto della foresta innevata. C'è qualcosa di sacro, davvero, e di spirituale nel silenzio che le assorda le orecchie - scricchiolano i suoi passi, incespica sulla neve fresca.
Torce il collo per guardarsi alle spalle, mentre scompare inghiottita dai tronchi e diretta chissà dove. Spera solo di essere di ritorno prima che Padron Ebwar si accorga della sua scomparsa.
La neve, implacabile, cancella il rincorrersi delle loro impronte.

domenica 22 febbraio 2015

Fireflies.

Clackline, Magione dei Deveraux, 2509

Le schiave dei Deveraux dormono nella dépendance, un casotto di legno di fianco alla proprietà principale. Dieci letti in una stanza sola, uno accanto all'altro - l'armadio non serve, i vestiti appartengono ai Termas, che ne donano uno a ciascuna di loro; se ne devono prendere cura: rammendarlo se si consuma, lavarlo quando si sporca. Uno dei doveri delle schiave è essere sempre presentabili, dato che entrano in casa e si mostrano agli occhi della padrona, delle figlie della padrona - a Wanda piace tanto intrecciare i riccioli neri di Amandine.
Jordan ha appena finito di cucire uno strappo nella sottana di cotone - s'è bucata le dita tre volte, masticando imprecazioni sottovoce, per non svegliare nessuno. La luce della luna che filtra dalla piccola finestra, sotto cui è seduta, non è la compagna ideale per un rammendo come si deve. Solleva il semplice abito che appartiene a lei da quasi due anni, rimirandolo con aria corrucciata; sbircia proprio Amandine, placidamente addormentata due letti più in là, pensando che lei avrebbe sicuramente fatto un lavoro migliore.
Sospira, mentre gli occhi verdi scivolano di nuovo fuori, oltre il vetro sottile, indagando la notte che circonda il grande giardino della casa coloniale. Sfarfalla le ciglia - solo un istante.
Improvvisamente, una miriade di faville bianche, luminose in quella notte afosa, danzano leggiadre nel buio. E' un fluttuare così svelto - un respiro stupito - che l'attimo dopo sono già scomparse nel mare di fili d'erba, tra le ombre dei peschi, tra le pannocchie oltre la staccionata.
E' talmente svelto che nemmeno Jordan si accorge di essere uscita incespicando dal capanno - in sottoveste, scalza sulla terra bruna, umida di rugiada - per inseguire alla cieca quelle scintille. Nemmeno il tempo passato - una vita fa, troppe vite fa - le ha fatto dimenticare cosa raccontava sua madre sulle lucciole - quando ancora non era Fox, ai suoi occhi, ma era soltanto Jordan.
Leggenda - mormorava sua madre, tra le sue ciocche bionde - vuole che non siano altro che scintille di esistenze finite, vite stroncate con violenza e ancora irrimediabilmente aggrappate a quell'ombra di essenza che possono chiamare Vita - racconti bisbigliati nella notte dei tempi e, misteriosamente, giunti intatti nei Quaranta Cieli. Sono coloro che hanno preferito bruciare in eterno, piuttosto che spegnersi chissà dove, e il Cielo li ha puniti, poiché le anime ardenti non possono andare lassù.
Jordan alza gli occhi contro il cielo buio, punteggiato di stelle - diamanti su velluto blu scuro - prima di cercare ancora nell'erba i luccichii di quella leggenda.
L'umida estate di Clackline arriccia i capelli sul collo - domani al Mercato di Baton Rounge sarà infernale.
E di nuovo, proprio quando ha quasi rinunciato e gira su se stessa - un fruscio di fili bui - per tornare al capanno, le vede: decine, centinaia di lucciole brillano nel silenzio afoso, sulla terra smossa dell'orto dietro la magione - pietre preziose, ricamate con perizia sulle zolle scure.
Una galassia in miniatura, sentieri che avrebbe potuto seguire con la prima nave per scappare da quella prigione - il collare di cuoio irrita la pelle sudata.
Eppure, resta lì.
Una parte di lei si chiede silenziosamente se tra quelle lucciole non ci sia anche Tulio, arso per un desiderio che gli faceva urlare le vene e l'ha trascinato a fondo con un buco nelle viscere.
Forse - ma solo forse - il suo momento di bruciare non è ancora arrivato.



Roanoke, Takoma Springs, 2517

Non vuole aprire gli occhi.
Non può farlo, non ricorda perché ma sa semplicemente che quel dolore nascosto in fondo al petto - ogni respiro, una coltellata alle costole - tornerebbe, se lo facesse.
L'abbraccio della febbre - qualcuno le ha aperto il fianco e ci ha frugato dentro - non è dissimile da quello di un amante: medesime sfumature di rosa e di abbandono, pellicole di sudore e veli di spossatezza sulle membra riverse; il petto che si alza e si abbassa con affanno, un rantolo superficiale.
Sa cos'è successo - ricorda ogni pugno, ogni parola.
Ricorda che le sue mani, poco tempo prima, l'avevano stretta in ben altro modo.
Sa cos'è successo fin troppo bene, ma gli antidolorifici con cui l'hanno stordita - improvvisamente ha ancora 17 anni e la switch che le mastica i nervi - hanno il potere di annebbiare tutto quanto. Si ritrova a vagare in una foschia densa, il soffitto della stanza del Why Not sembra sciogliersi, a volte, altre volte si agita scosso dal vento gelido che spazzava Flame, su St. Andrew.
Ingoia il fiotto amaro della vergogna, nutrendosi di un veleno che la infetta - un colpo di tosse, una martellata allo sterno - ma di cui non sembra riuscire a fare a meno.
Si stropiccia gli occhi serrati - le ciglia, senza trucco, sono soffici e bionde - e rivede le stesse lucciole che gironzolavano nelle notti di Clackline, pulsare oltre le sue palpebre chiuse.
E' in quel momento che si decide, finalmente, ad aprire gli occhi.
Ci ha letto chissà cosa, in quel sentiero luminoso - qualcosa che sta digitando sul cortex recuperato dal comodino di fianco al letto, a fatica.

« Se ti si rivela illuminante, dovresti prenderle più spesso. »

sabato 31 gennaio 2015

Deep water.

Whitmon, Thyatira, 2503

I sassolini della scogliera su cui è affacciata Jordan Fox le solleticano le dita dei piedi, scalza sul baratro che precipita giù, per venti metri buoni, fino a tuffarsi nelle onde della costa frastagliata di Thyatira. Chi bazzica da quelle parti, conosce quel posto come il Salto degli Sposi; leggenda vuole che due innamorati, tanti anni fa, si siano presi per mano e siano saltati insieme giù dallo strapiombo.
Il perché, non l'ha mai saputo nessuno.
Non guardare giù non guardare giù non guardare.
Gli occhi verdi sono fissi sull'orizzonte, l'aria salmastra le gonfia i polmoni dello stesso respiro accelerato che, ormai, la tormenta da quando ha accettato quella stupida scommessa.

- Scommetto che non ce la fai, Foxie.
- Mangiati la lingua, Welsh.

In quel momento, con le vertigini che le serrano la gola rischiando di farla vomitare, avrebbe tanto voluto ingoiarsela lei, la lingua, e maledirsi per aver accolto l'ennesima provocazione di Elija.
La brezza frusta le corte ciocche bionde - tagliate per rabbia - e la veste di pelle d'oca, 'ché l'abitino azzurro che indossa non è sufficiente a ripararla dall'aria pungente di una mattina di settembre.
L'angoscia fa tutto il resto.

- Prima di domani, magari.

Il ridacchiare sommesso del terzetto che le sta fissando la schiena la fa rabbrividire ancora di più - serra i pugni contro i fianchi, per non doversi girare e usarli contro di loro.
La cattiveria dei dodicenni non ha limiti - se anche avesse voluto, saltare sarebbe stato l'unico modo di andarsene di lì senza un occhio nero.

- Come on, Eli, non vedi che ha paura?

Thomas e la sua preoccupazione - avrebbe dovuto imparare a nasconderla meglio, si disse lei.
Ma Elija non coglie l'urgenza nel tono dell'amico, rigirandolo a suo piacimento.

- Certo che ha paura. Right, Fox?
Silenzio.
- Ammetti di essere una codarda, oltre che una bastarda.

Non c'è nessuna ammissione, per qualcosa che ti ha marchiato alla nascita senza appello.
Jordan, questo, lo sa fin troppo bene.
Chiude gli occhi - infine - e prende un respiro denso, cancellando in un colpo di spugna le risate di Elija e di Nick, il tentativo di Tom di farle fare un passo indietro - farle ingoiare, per non ammazzarsi, la sabbia del fallimento.
No, non l'avrebbe permesso un'altra volta.
Quando muove l'ultimo passo in avanti, nel vuoto, i sogghigni dei suoi aguzzini spariscono davvero.
Si chiede, precipitando in un urlo silenzioso, se anche i due sposi avessero provato la stessa sensazione - l'aria risucchiata dai polmoni in venti metri di nulla.



Clackline, Magione dei Deveraux, 2508

Infrange la superficie dell'acqua quando trattenere il respiro ha cominciato a farle pizzicare i polmoni, appannandole la vista e facendole formicolare le braccia.
Riprende fiato, levandosi le fradicie ciocche rosa - stanno sbiadendo, piano piano - dagli occhi, per poter rimettere a fuoco, in uno sfarfallio delle ciglia chiare, la sagoma seduta nella vasca davanti a lei.

- ..rdan, mi ascolti?
- Anh?
- You stenli? You standerun?

L'Escravit continua a risultarle assolutamente incomprensibile, la maggiorparte delle volte; sembra che il suo cervello non riesca a invertire correttamente le sillabe dell'inglese, e per di più si limita a districare pensieri aggrovigliati per comprendere almeno il senso di ciò che Amandine cerca di dirle.

- Jesus, non puoi parlare in inglese?
- Non lo so molto bene. E tu devi imparare.

Jordan sospira, poggiando la schiena - ancora dolorante - alla superficie in porcellana candida della vasca in cui sono sprofondate fino al collo. Alle schiave dei Deveraux sono concessi ogni due giorni dieci minuti per il bagno, a coppie, e nessuno o quasi vuole perdere tempo con Jordan, scontrosa e intrattabile. La schiava più anziana - la più fedele - che possiedono, Annette, la odia da quando è stata venduta alla tenuta e ci ha messo piede la prima volta. Jordan Fox insulta l'onore della servitù - così le piace definirsi - e rende triste la padrona, se l'è meritate quelle frustate.
L'acqua tiepida è piacevole, sulle ferite in lenta guarigione; è il primo bagno che il dottor Mason le ha permesso di fare, dopo settimane. Barrow l'ha tallonata come un cagnolino, per evitare che le piaghe scavate dalle frustate si riaprissero.

- Ricominciamo.

Alza gli occhi al cielo, scivolando a fissare i tratti ancora acerbi di Amandine - pelle color caramello, zucchero bruciato - e domandandosi chi, in futuro, avrebbe acquistato quel fiore in boccio che promette di diventare splendido.

- Non ne ho voglia.
- Meco on, Jordan, just a tlelit bit.
- What the hell, Amandine, sembra che ti sia annodata la lingua.

La ragazzina ridacchia, alzandosi in piedi per uscire dalla vasca e recuperare gli asciugamani per entrambe. Jordan la segue con lo sguardo, distratta, il mento poggiato al bordo della vasca. Sta pensando a qualcosa, probabilmente, a giudicare dall'espressione assente.
Si tormenta l'incavo dei gomiti - bucherellati come merletti.

- Jordie ..

Amandine la richiama, di nuovo, tendendole un asciugamano di tela - il lino è per la padrona.
Lei sospira, uscendo dalla vasca e strappandole di mano il telo, per avvolgersi - la vergogna di quegli sfregi sulla schiena è più forte del pudore.

- Fine, where were we?

Il sorriso della piccola schiava, e la ripresa dell'elenco di parole che deve imparare, la distolgono dal pensiero fisso di ciò che avrebbe voluto spingersi in vena - ancora, fino a stare male, fino a dimenticare il collare di cuoio che le serra il collo.
Come se davvero la Switch avesse mai funzionato, contro i fantasmi.